La tenda dell'incontro

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LA TENDA

I riferimenti alla tenda nella Bibbia sono più di trecento. La tenda "casa della steppa", è la ricchezza abitativa dei pastori che, costretti a spostarsi per pascolare il loro gregge, portavano con sé la tenda, come casa mobile.  I nostri patriarchi, Abramo, Isacco e Giacobbe sono pastori che camminano con il loro gregge, scavano pozzi e si riparano dal caldo e dal freddo sotto le tende (cfr. Gen 12,8; 13, 3- 18; 25, 27; 26,17). La Lettera agli Ebrei li ricorda come coloro che vissero «in una regione straniera, abitando sotto le tende» (cfr. Eb 11,8-10). La tenda per i nomadi era luogo d’incontro e d’accoglienza per i viandanti. Significativa quella di Abramo, immagine di pace e ospitalità (Gen 18,1-2).

La tenda da rifugio dei pastori nomadi, diviene "luogo simbolo" della presenza di Dio che cammina con il suo popolo: «Il Signore disse a Mosè: "Gli Israeliti mi consacreranno un luogo particolare, così io abiterò in mezzo a loro. Farete la tenda e gli oggetti di culto uguali al modello che io ti mostrerò"» (Es 25, 1,8-9). Questa tenda conteneva l’arca dell’alleanza ed era il luogo dove si consultava il Signore (Es 33,7-11) e si spostava con il popolo, scandendo le tappe del suo cammino (Es 40,37-38).

Il profeta Natan al re Davide, che vuole costruire a Dio una "casa", cioè, un grande tempio di mattoni, ricorda che il suo Dio, da quando fece uscire il popolo dall’Egitto, ha camminato con lui, vagando sotto una tenda (cfr. 2 Sam 7, 4-7).

Il Signore non ama essere limitato in uno spazio sacro ma vuole essere presente nella storia.

L'immagine della tenda descrive la gioia del credente di stare con il Signore: «Vorrei abitare nella tua tenda per sempre, rifugiarmi all’ombra delle tue ali» (Sal 61,5). La tenda è simbolo del popolo d’Israele che Dio renderà grande (Is 54, 2), come pure della fragilità umana: «La mia tenda sta per essere divelta, gettata lontano come una tenda di pastori» (cfr. Is 38,12). Il prologo del Vangelo di Giovanni interpreta la venuta di Gesù in mezzo a noi con la simbologia della tenda: «Il Verbo si è fatto carne e pose la sua tenda in mezzo a noi» (Gv 1,14). Vale a dire che Gesù, l’Emmanuele, Dio con noi, come Dio nell’AT, cammina nella nostra storia per riempirla di vita. Gesù in mezzo a noi è la vera sapienza di cui è detto: «Fissa la tenda in Giacobbe e prendi eredità in Israele» (Sir 24,8).

A noi scout la tenda, elemento fondamentale, ricorda tutto questo ma è anche simbolo di essenzialità perché la vita in tenda è priva di comodità superflue, inoltre ci aiuta ad aprirsi ad uno spazio di spiritualità e riflessione in un più intenso contatto con la natura dove la presenza di Dio si fa sentire in modo tangibile.

Su ali d’aquila di J. M. Joncas

Signore com’è bello – Le tende di C. Chieffo

In ascolto della Parola

Gen 18,1-14: Poi il Signore apparve a lui alle Querce di Mamre, mentre egli sedeva all'ingresso della tenda nell'ora più calda del giorno. 2Egli alzò gli occhi e vide che tre uomini stavano in piedi presso di lui. Appena li vide, corse loro incontro dall'ingresso della tenda e si prostrò fino a terra, 3dicendo: «Mio signore, se ho trovato grazia ai tuoi occhi, non passare oltre senza fermarti dal tuo servo. 4Si vada a prendere un po' d'acqua, lavatevi i piedi e accomodatevi sotto l'albero. 5Andrò a prendere un boccone di pane e ristoratevi; dopo potrete proseguire, perché è ben per questo che voi siete passati dal vostro servo». Quelli dissero: «Fa' pure come hai detto».

6Allora Abramo andò in fretta nella tenda, da Sara, e disse: «Presto, tre sea di fior di farina, impastala e fanne focacce». 7All'armento corse lui stesso, Abramo; prese un vitello tenero e buono e lo diede al servo, che si affrettò a prepararlo. 8Prese panna e latte fresco insieme con il vitello, che aveva preparato, e li porse loro. Così, mentre egli stava in piedi presso di loro sotto l'albero, quelli mangiarono.

9Poi gli dissero: «Dov'è Sara, tua moglie?». Rispose: «È là nella tenda». 10Riprese: «Tornerò da te fra un anno a questa data e allora Sara, tua moglie, avrà un figlio». Intanto Sara stava ad ascoltare all'ingresso della tenda, dietro di lui. 11Abramo e Sara erano vecchi, avanti negli anni; era cessato a Sara ciò che avviene regolarmente alle donne. 12Allora Sara rise dentro di sé e disse: «Avvizzita come sono, dovrei provare il piacere, mentre il mio signore è vecchio!». 13Ma il Signore disse ad Abramo: «Perché Sara ha riso dicendo: «Potrò davvero partorire, mentre sono vecchia»? 14C'è forse qualche cosa d'impossibile per il Signore? Al tempo fissato tornerò da te tra un anno e Sara avrà un figlio».

 

Es 33,7-11:7Mosè prendeva la tenda e la piantava fuori dell'accampamento, a una certa distanza dall'accampamento, e l'aveva chiamata tenda del convegno; appunto a questa tenda del convegno, posta fuori dell'accampamento, si recava chiunque volesse consultare il Signore. 8Quando Mosè usciva per recarsi alla tenda, tutto il popolo si alzava in piedi, stando ciascuno all'ingresso della sua tenda: seguivano con lo sguardo Mosè, finché non fosse entrato nella tenda. 9Quando Mosè entrava nella tenda, scendeva la colonna di nube e restava all'ingresso della tenda, e parlava con Mosè. 10Tutto il popolo vedeva la colonna di nube, che stava all'ingresso della tenda, e tutti si alzavano e si prostravano ciascuno all'ingresso della propria tenda. 11Il Signore parlava con Mosè faccia a faccia, come uno parla con il proprio amico. Poi questi tornava nell'accampamento, mentre il suo inserviente, il giovane Giosuè figlio di Nun, non si allontanava dall'interno della tenda.

 

Sal 61,3-5: 3 Sull'orlo dell'abisso io t'invoco,
mentre sento che il cuore mi manca:
guidami tu sulla rupe per me troppo alta.

4 Per me sei diventato un rifugio,
una torre fortificata davanti al nemico.

5 Vorrei abitare nella tua tenda per sempre,
vorrei rifugiarmi all'ombra delle tue ali.

 

Ap 21,1-4: 1 E vidi un cielo nuovo e una terra nuova: il cielo e la terra di prima infatti erano scomparsi e il mare non c'era più. 2E vidi anche la città santa, la Gerusalemme nuova, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo. 3Udii allora una voce potente, che veniva dal trono e diceva:

«Ecco la tenda di Dio con gli uomini!
Egli abiterà con loro
ed essi saranno suoi popoli
ed egli sarà il Dio con loro, il loro Dio.
4E asciugherà ogni lacrima dai loro occhi
e non vi sarà più la morte
né lutto né lamento né affanno,
perché le cose di prima sono passate».

Per la riflessione

L’icona della tenda, in ambedue i Testamenti, copre una serie di significati che possiamo raccogliere in questo ordine: la tenda come abitazione di Dio e come luogo privilegiato della presenza di Dio in mezzo al suo popolo, la tenda come luogo di incontro tra Dio e Israele, come pure tra Mosè e il suo Dio, la tenda come abitazione degli uomini (segnatamente la tenda come abitazione dei giusti e degli empi), la tenda come immagine del corpo umano che prima o dopo dovremo abbandonare. Di fronte a questa dovizia e varietà di significati potremmo sentirci smarriti ma, per fortuna o per grazia, abbiamo ricevuto un criterio di interpretazione che ci porta al cuore della rivelazione biblica e della fede ebraica e cristiana. La tenda è e deve essere considerata anzitutto come “luogo”: non in senso materiale bensì nei suoi risvolti spirituali e mistici. È il luogo dell’appuntamento che il Signore Dio rivolge a tutti noi; è il luogo dell’incontro nostro con lui; è il luogo nel quale possiamo sperimentare che cosa significa essere per Dio figlio, amico e sposa.

(C.Ghidelli, ‘Ecco la tenda di Dio tra gli uomini’. L’icona della tenda nella Bibbia, Studium 2019)

 

“Quando il re si fu stabilito nella sua casa (…) disse al profeta Natan: vedi io abito in una casa di cedro, mentre l’arca di Dio sta sotto una tenda” (v.2)

Dopo tante battaglie David ha finalmente avuto la sua vittoria contro il nemico più aspro e temibile di Israele, quello dei Filistei e adesso il territorio del suo regno ha trovato anche una capitale: Gerusalemme. David è andato a risiedere, quindi, in una casa degna di un re, costruita, addirittura, con pregiato legno di cedro che il re di Tiro gli aveva fatto edificare come omaggio (cf 1Sam 5,11). David sa bene chi sia stato, però, il fedele alleato che gli ha procurato sì grandi risultati: Dio. Per questo vuole mostragli la sua gratitudine. Se la casa del re è un edificio di lusso, la casa di Dio non può essere una tenda! David cade nella tentazione di vedere Dio ormai più debole di se stesso e cede all’istinto di aiutarlo e dargli una residenza pari alla Sua dignità. Se pur in buona fede, il re certamente pensava che se il suo Palazzo voleva avere una stabilità, dovesse avere di fronte un Tempio atto a legittimare l’autorità e il potere del re. David ha un gran fiuto politico e sa come si debba usare la complicità del divino in una monarchia. Ma proprio questa è la sua tentazione.

“Natan rispose al re: “Và, fa’ quanto hai in mente di fare, perché il Signore è con te” (v3).
Nella tentazione di David cade anche il profeta Natan il quale, con una parola istintiva ed arbitraria, non solo autorizza, ma anche invita il re a costruire una casa a Dio! Anche il profeta – ahimé! – può cadere nella tentazione dell’abuso di Dio.

“Ma quella stessa notte fu rivolta a Natan questa parola del Signore: “Va’ e riferisci al mio servo David: dice il Signore: forse tu mi costruirai una casa, perché vi abiti? (…)Ma io non sono abitato in una casa da quando ho fatto uscire gli Israeliti dall’Egitto fino ad oggi sono andato vagando sotto una tenda”(vv.5-6).

Il primo ad essere corretto da Dio è proprio il profeta: egli deve rinunciare ai facili entusiasmi – spacciando la sua parola per quella di Dio! – e andare dal re per farlo riflettere su ciò che sta facendo. Deve ricordare il modo in cui fin dai tempi dell’Egitto, Dio fosse stato a capo di Israele. Non lo aveva governato da un Palazzo celeste, ma facendosi vicino, scendendo accanto a lui, sulla polvere del cammino dell’esodo.

Come Israele si muoveva sotto una tenda, così Dio gli era compagno, amico solidale nel deserto. Dal basso della condivisione del sudore e del duro destino di Israele, un Dio alleato poteva essere guida e sostegno, fedeltà e forza per un popolo che era diretto verso una terra promessa, verso un paese di latte e di miele. David, che oggi vuole rendere solido il suo governo proprio in quel dolcissimo paese, deve sapere la differenza che passa tra un Messia di Israele ed un qualsiasi monarca del Vicino oriente. Quest’ultimo assurge alla condizione divina e domina il popolo proprio con la forza che da ciò deriva, mentre il Messia è semplicemente diacono di un Dio che governa come un Servo.

(Rosanna Virgili, Lectio Il volto di Dio della tenda, ottobre 2019 da

 https://alzogliocchiversoilcielo.blogspot.com)

 

«Allarga lo spazio della tua tenda, stendi i teli della tua dimora senza risparmio, allunga le cordicelle, rinforza i tuoi paletti» (Is 54,2).

26. La parola del profeta richiama al popolo in esilio l’esperienza dell’esodo e della traversata del deserto, quando abitava nelle tende, e annuncia la promessa del ritorno alla terra, segno di gioia e di speranza. Per prepararsi, è necessario allargare la tenda, agendo sui tre elementi della sua struttura. Il primo sono i teli, che proteggono dal sole, dal vento e dalla pioggia, delineando uno spazio di vita e di convivialità. Occorre dispiegarli, in modo che possano proteggere anche coloro che ancora si trovano al di fuori di questo spazio, ma che si sentono chiamati a entrarvi.

Il secondo elemento strutturale della tenda sono le corde, che tengono insieme i teli. Devono equilibrare la tensione necessaria a evitare che la tenda si afflosci con la morbidezza che ammortizza i movimenti provocati dal vento. Per questo, se la tenda si allarga, si devono allungare per mantenere la giusta tensione. Infine, il terzo elemento sono i paletti, che ancorano la struttura al suolo e ne assicurano la solidità, ma restano capaci di spostarsi quando si deve piantare la tenda altrove.

27. Ascoltate oggi, queste parole di Isaia ci invitano a immaginare la Chiesa come una tenda, anzi come la tenda del convegno, che accompagnava il popolo durante il cammino nel deserto: è chiamata ad allargarsi, dunque, ma anche a spostarsi. Al suo centro sta il tabernacolo, cioè la presenza del Signore. La tenuta della tenda è assicurata dalla robustezza dei suoi paletti, cioè i fondamenti della fede che non mutano, ma possono essere spostati e piantati in terreni sempre nuovi, in modo che la tenda possa accompagnare il popolo che cammina nella storia. Infine, per non afflosciarsi, la struttura della tenda deve mantenere in equilibrio le diverse spinte e tensioni a cui è sottoposta: una metafora che esprime la necessità del discernimento. È così che molte sintesi immaginano la Chiesa: una dimora ampia, ma non omogenea, capace di dare riparo a tutti, ma aperta, che lascia entrare e uscire (cfr. Gv 10,9), e in movimento verso l’abbraccio con il Padre e con tutti gli altri membri dell’umanità.

28. Allargare la tenda richiede di accogliere altri al suo interno, facendo spazio alla loro diversità. Comporta quindi la disponibilità a morire a se stessi per amore, ritrovandosi nella e attraverso la relazione con Cristo e con il prossimo: «In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto» (Gv 12,24). La fecondità della Chiesa dipende dall’accettazione di questa morte, che non è però un annientamento, ma un’esperienza di svuotamento di sé per lasciarsi riempire da Cristo attraverso lo Spirito Santo, e dunque un processo attraverso il quale riceviamo in dono relazioni più ricche e legami più profondi con Dio e con l’altro.

(dal Documento di lavoro per la tappa Continentale, Sinodo 2021-2024, ott. 2022)

 

Oggi è come se bussassimo - nocche leggere - al mistero di Dio cui diamo nome di Trinità. Nome a volte scolorito. Lo teniamo nel cuore perché racconta una relazione. I nomi che ci sono più cari sono i nomi che raccontano una particolare relazione ed è per questo che ci si accende il nome di Dio: per ciò che intercorre tra noi e lui. Se non ci fosse intensità di relazione, scolorirebbe. E invece leggi: "Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui".

Il nome "trinità" allude a questo intreccio misterioso, a questo venire, a questo andarsene. Ma anche a questo rimanere nel cuore. C'è una dimora per i nomi più cari. E in Dio non c'è pesantezza. La pesantezza c'è nei nostri discorsi su Dio: "Verremo, prenderemo dimora". Non occupazione, dimora. Vorrei dire che sullo sfondo non c'è l'immobilità di una casa rocciosa, impenetrabile; c'è il sollevarsi per vento dei teli di una tenda. Suggestiva, in questo orizzonte, la riflessione di Don Enrico sul foglio parrocchiale di questa domenica: "Una tenda e la Trinità", parole che rincorrono la tenda di Abramo alle querce di Mamre.

Penso con emozione alla tenda quando incrocio persone fantasiose, aperte, sciolte, libere e liberanti, donne e uomini che amano sorprendersi, lontane dalla noia e dalla noiosità, dalla ripetizione, tenda e non cattura. Mi viene da sognare per loro:

E forse più che una casa,
spenta immagine della mia fissità,
ho sognato per il tuo amore una tenda,
caldo rifugio per una notte.
Ma subito è il miracolo dell'alba e tu,
instancabile,
la vai arrotolando
alla ricerca di nuovi orizzonti.
Sempre oltre
per ininterrotti sentieri
che solo l'amore inventerà.
Andare di terra in terra,
di amore in amore
perdutamente
e all'ultimo orizzonte
scoprire che Dio
non era
nelle stanche parole
nel gelo dei monumenti.
Era nel brivido

del tuo inquieto cammino.

Ritorno ad Abramo e alla sua tenda. Che, lasciatemi dire, conosce il brivido del vento. È la tenda della sorpresa, sorpresa che non si acquieta: erano tre gli sconosciuti? Erano tre e forse uno, commenta don Enrico. Che bello che rimanga la sorpresa e una interrogazione infinita su Dio. E che cosa favorì quel giorno l'incontro di Abramo con un Dio che passa in incognito, se non quello stare sulla soglia, gli occhi abbandonati oltre le querce, persino nell'ora più calda del giorno, quando caldo ed afa ti farebbero sognare il più profondo dei sonni? La vecchiaia non gli aveva rubato la curiosità degli occhi: stava all'ingresso della tenda.

La vecchiaia, dobbiamo aggiungere, non gli aveva rubato nemmeno brezze di passione per l'ospitalità; uno che l'ospitare lo considera una grazia, grazia da farti inginocchiare: "Appena li vide, corse loro incontro dall'ingresso della tenda e si prostrò fino a terra, dicendo: "Mio signore, se ho trovato grazia ai tuoi occhi, non passare oltre senza fermarti dal tuo servo. Si vada a prendere un po' d'acqua, lavatevi i piedi e accomodatevi sotto l'albero. Andrò a prendere un boccone di pane e ristoratevi; dopo potrete proseguire, perché è ben per questo che voi siete passati dal vostro servo!"". Che siano questi i preliminari al riconoscimento di Dio: la curiosità degli occhi e un cuore appassionato di ospitalità? La trinità racconta la gioia dell'aprirsi e non un Dio monolitico, racconta la tavola sotto le querce di Mamre e non un trono da cui dominare né una torre da cui controllare.

È suggestivo pensarlo: è come se fossimo chiamati a dare un'immagine nuova alla parola "unità" e nuovo senso all'operare per l'unità. Buona notizia questa immagine dell'unità in Dio, l'unità a una tavola. Notizia da stringere, ancora più stretta, in giorni inveleniti per invasione dell'altro, per occupazioni e sopraffazioni. E - diciamocelo - invelenita è l'aria, non solo a livello globale, ma anche nel vivere quotidiano, invelenita da un "io" dispotico e arrogante, che sembra non avere più freni. Troni e torri. Per guardare dall'alto in basso, per creare dipendenze e sottomissioni. Ci rimangono purtroppo retaggi di dipendenze e sottomissioni, non ancora debellate come sarebbe auspicabile, dopo secoli. Torri e troni.

Mi verrebbe da dire che nemmeno la tenda alle querce di Mamre ne era totalmente immune. Perdonate, non ho la competenza né la saggezza degli esegeti. Ma nel racconto di Abramo e dei tre sconosciuti mi ha sempre colpito un particolare: che a Sara - sarà per sudditanza a costumi del tempo - non sia concesso uscire dalla tenda: è invitata ad affrettarsi a preparare cibi e prepara; ascolta sì, ma da invisibile, i discorsi che vengono da fuori. E che bello - lasciatemi dire - che Dio la faccia sorridere alla promessa della nascita. Ha timore a dirlo, ma ha sorso. Non so se anche voi, io sì: avvisto ombre di dipendenze, e non l'affaccio di tutti a una tavola di uguali. Mi ritorna al cuore un midrash della tradizione rabbinica che ha qualcosa da insegnare su Dio e su noi. Eccolo: "Quando ero un ragazzino il signor Maestro stava insegnandomi a leggere. Una volta mi mostrò nel libro di preghiere due minuscole lettere, simili a due puntini quadrati.

E mi disse: "Vedi, Uri, queste due lettere, una accanto all'altra? È il monogramma del nome di Dio; e, ovunque, nelle preghiere, scorgi insieme questi due puntini, devi pronunciare il nome di Dio, anche se non è scritto per intero". Continuammo a leggere con il Maestro, finché non trovammo, alle fine di una frase, i due punti. Erano egualmente due puntini quadrati, solo non uno accanto all'altro, ma uno sotto l'altro. Pensai che si trattasse del monogramma di Dio, perciò pronunciai il suo nome. Il Maestro disse però; "No, no, Uri. Quel segno non indica il nome di Dio. Solo là dove i puntini sono a fianco l'uno dell'altro, dove uno vede nell'altro un compagno a lui uguale, solo la c'è il nome di Dio. Ma dove i puntini sono uno sotto e l'altro sopra il primo, la non c'è il nome di Dio"".

(omelia di Don Angelo Casati)

 

Tenda di Dio
Sua calda dimora
è la carne vivente
dell’uomo, sua immagine.

Asino e bue
siamo tutti, Signore,
muso dietro muso,
a fissare il mistero.

Mistero di ruvida
e povera paglia
e giorni senza luce,
droghe senza speranza.

Essere, mio Dio,
asino e bue
col fiato sospeso
a godere il mistero.

Noi siamo, Signore,
il tuo vivente presepe,
siamo la paglia
su cui coricarti ancora.  

(don Angelo Casati )