La Tenda

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LA TENDA



Per riflettere

Oggi è come se bussassimo - nocche leggere - al mistero di Dio cui diamo nome di Trinità. Nome a volte scolorito. Lo teniamo nel cuore perché racconta una relazione. I nomi che ci sono più cari sono i nomi che raccontano una particolare relazione ed è per questo che ci si accende il nome di Dio: per ciò che intercorre tra noi e lui. Se non ci fosse intensità di relazione, scolorirebbe. E invece leggi: "Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui".

Il nome "trinità" allude a questo intreccio misterioso, a questo venire, a questo andarsene. ma anche a questo rimanere nel cuore. C'è una dimora per i nomi più cari. E in Dio non c'è pesantezza. La pesantezza c'è nei nostri discorsi su Dio: "Verremo, prenderemo dimora". Non occupazione, dimora. Vorrei dire che sullo sfondo non c'è l'immobilità di una casa rocciosa, impenetrabile; c'è il sollevarsi per vento dei teli di una tenda. Suggestiva, in questo orizzonte, la riflessioni di Don Enrico sul foglio parrocchiale di questa domenica: "Una tenda e la Trinità", parole che rincorrono la tenda di Abramo alle querce di Mamre.

Penso con emozione alla tenda quando incrocio persone fantasiose, aperte, sciolte, libere e liberanti, donne e uomini che amano sorprendersi, lontane dalla noia e dalla noiosità, dalla ripetizione, tenda e non cattura. Mi viene da sognare per loro:

E forse più che una casa,
spenta immagine della mia fissità,
ho sognato per il tuo amore una tenda,
caldo rifugio per una notte.
Ma subito è il miracolo dell'alba e tu,
instancabile,
la vai arrotolando
alla ricerca di nuovi orizzonti.
Sempre oltre
per ininterrotti sentieri
che solo l'amore inventerà.
Andare di terra in terra,
di amore in amore
perdutamente
e all'ultimo orizzonte
scoprire che Dio
non era
nelle stanche parole
nel gelo dei monumenti.
Era nel brivido

del tuo inquieto cammino.

Ritorno ad Abramo e alla sua tenda. Che, lasciatemi dire, conosce il brivido del vento. E' la tenda della sorpresa, sorpresa che non si acquieta: erano tre gli sconosciuti? Erano tre e forse uno, commenta don Enrico. Che bello che rimanga la sorpresa e una interrogazione infinita su Dio. E che cosa favorì quel giorno l'incontro di Abramo con un Dio che passa in incognito, se non quello stare sulla soglia, gli occhi abbandonati oltre le querce, persino nell'ora più calda del giorno, quando caldo ed afa ti farebbero sognare il più profondo dei sonni? La vecchiaia non gli aveva rubato la curiosità degli occhi: stava alll'ingresso della tenda.

La vecchiaia, dobbiamo aggiungere, non gli aveva rubato nemmeno brezze di passione per l'ospitalità; uno che l'ospitare lo considera una grazia, grazia da farti inginocchiare: "Appena li vide, corse loro incontro dall'ingresso della tenda e si prostrò fino a terra, dicendo: "Mio signore, se ho trovato grazia ai tuoi occhi, non passare oltre senza fermarti dal tuo servo. Si vada a prendere un po' d'acqua, lavatevi i piedi e accomodatevi sotto l'albero. Andrò a prendere un boccone di pane e ristoratevi; dopo potrete proseguire, perché è ben per questo che voi siete passati dal vostro servo!"". Che siano questi i preliminari al riconoscimento di Dio: la curiosità degli occhi e un cuore appassionato di ospitalità? La trinità racconta la gioia dell'aprirsi e non un Dio monolitico, racconta la tavola sotto le querce di Mamre e non un trono da cui dominare né una torre da cui controllare.

E' suggestivo pensarlo: è come se fossimo chiamati a dare un'immagine nuova alla parola "unità" e nuovo senso all'operare per l'unità. Buona notizia questa immagine dell'unità in Dio, l'unità a una tavola. Notizia da stringere, ancora più stretta, in giorni inveleniti per invasione dell'altro, per occupazioni e sopraffazioni. E - diciamocelo - invelenita è l'aria, non solo a livello globale, ma anche nel vivere quotidiano, invelenita da un "io" dispotico e arrogante, che sembra non avere più freni. Troni e torri. Per guardare dall'alto in basso, per creare dipendenze e sottomissioni. Ci rimangono purtroppo retaggi di dipendenze e sottomissioni, non ancora debellate come sarebbe auspicabile, dopo secoli. Torri e troni.

Mi verrebbe da dire che nemmeno la tenda alle querce di Mamnre ne era totalmente immune. Perdonate, non ho la competenza né la saggezza degli esegeti. Ma nel racconto di Abramo e dei tre sconosciuti mi ha sempre colpito un particolare: che a Sara - sarà per sudditanza a costumi del tempo - non sia concesso uscire dalla tenda: è invitata ad affrettarsi a preparare cibi e prepara; ascolta sì, ma da invisibile, i discorsi che vengono da fuori. E che bello - lasciatemi dire - che Dio la faccia sorridere alla promessa della nascita. Ha timore a dirlo, ma ha sorrso. Non so se anche voi, io sì: avvisto ombre di dipendenze, e non l'affaccio di tutti a una tavola di uguali. Mi ritorna al cuore um midrash della tradizione rabbinica che ha qualcosa da insegnare su Dio e su noi. Eccolo: "Quando ero un ragazzino il signor Maestro stava insegnandomi a leggere. Una volta mi mostrò nel libro di preghiere due minuscole lettere, simili a due puntini quadrati.

E mi disse: "Vedi, Uri, queste due lettere, una accanto all'altra? È il monogramma del nome di Dio; e, ovunque, nelle preghiere, scorgi insieme questi due puntini, devi pronunciare il nome di Dio, anche se non è scritto per intero". Continuammo a leggere con il Maestro, finché non trovammo, alle fine di una frase, i due punti. Erano egualmente due puntini quadrati, solo non uno accanto all'altro, ma uno sotto l'altro. Pensai che si trattasse del monogramma di Dio, perciò pronunciai il suo nome. Il Maestro disse però; "No, no, Uri. Quel segno non indica il nome di Dio. Solo là dove i puntini sono a fianco l'uno dell'altro, dove uno vede nell'altro un compagno a lui uguale, solo la c'è il nome di Dio. Ma dove i puntini sono uno sotto e l'altro sopra il primo, la non c'è il nome di Dio"".

(Don Angelo Casati)


 

Tenda di Dio
Sua calda dimora
è la carne vivente
dell’uomo, sua immagine.

Asino e bue
siamo tutti, Signore,
muso dietro muso,
a fissare il mistero

Mistero di ruvida
e povera paglia
e giorni senza luce,
droghe senza speranza.

Essere, mio Dio,
asino e bue
col fiato sospeso
a godere il mistero.

Noi siamo, Signore,
il tuo vivente presepe,
siamo la paglia
su cui coricarti ancora.  (don Angelo Casati)