I Colori della Pace

Puoi leggere l'introduzione degli itinerari di preghiera

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I COLORI DELLA PACE

Le bandierine della pace ci ricordano che la pace è fragile. Come quelle bandierine colorate, sbattute dal vento, sfrangiate dalle intemperie che si abbattono sulla casa. ma esse recano l’appello che non viene meno a costruire pace, ad accogliere il primo saluto di Gesù risorto “Pace a voi”, per essere testimoni nella storia di pace. Spesso siamo presi dallo sconforto perché attorno a noi vediamo il sopravanzare della logica della guerra, l’affermarsi della prepotenza e delle armi, la rinuncia alle parole per risolvere i conflitti che fanno parte della vita umana, la scelta della violenza anziché la faticosa ricerca di tessere percorsi di pace. Costruire ponti e abbattere i muri: è questo l’impegno che attende uomini e donne che lo facciano proprio, senza deleghe, assumendosi la responsabilità in questo tempo difficile. Le bandierine che sventolano diffondono quella preghiera che è seme di vita per tutta l’umanità. Proprio quando vediamo le devastazioni e i lutti della guerra, la follia che la guerra è nella storia, ci impegniamo a costruire la pace con gli strumenti della pace.


 

Per riflettere

Oggi, dopo il lampo di Hiroshima, non è più possibile difendersi con la guerra. L’esplosione atomica, vero spartiacque nella storia della specie umana, ha posto fine per sempre alle regole del vecchio realismo politico degli stati sovrani secondo cui per dirimere i conflitti diventa indispensabile l’uso della forza. Da quel tragico fungo nucleare, fiorito in Giappone il 6 agosto 1945, è finita l’epoca della guerra giusta. Nulla può essere più come prima. Ogni guerra è divenuta iniqua perché destinata a travolgere nell’apocalisse drago e cavaliere.

La difesa armata risponde, perciò, a una logica preatomica che tutto potrà partorire, fuorché la pace e la giustizia. Anzi, già prima che scoppiasse la bomba atomica, queste cose le avevano espresse Winston e Churchill, quando su di una nave al largo della costa statunitense, il 14 agosto 1941, sottoscrissero la cosiddetta Carta Atlantica che poi sarà il testo base dello Statuto dell’ONU. Ebbene, i firmatari di quella celebre Carta “credono che tutte le nazioni del mondo, per motivi realistici altrettanto che spirituali debbono arrivare all’abbandono dell’uso della forza”. Purtroppo queste affermazioni sono state presto dimenticate, tant’è che alcuni anni dopo, Einstein scriveva: “La liberazione della potenza dell’atomo ha cambiato tutto, tranne il nostro modo di pensare; e così andiamo alla deriva verso una catastrofe senza precedenti”.

Ed ecco l’alternativa della difesa nonviolenta. Che non è un tenero sentimento per novizie. Ma che oggi è divenuta una scienza, articolata e complessa. Con tanto di formulazioni analitiche e di scelte strategiche. Che si avvale di grandi maestri e di una ormai incontenibile produzione bibliografica. Che fa perno attorno all’educazione e rielabora, in termini laici l’antico monito dei profeti: o convertirsi o morire. Che ha già una storia di successi alle spalle. Che trova il suo grande teorizzatore in Gandhi, il quale affermava: “Io cerco di spuntare completamente la spada del tiranno, non urtandola con un acciaio meglio affilato, ma ingannando la sua attesa di vedermi offrire una resistenza fisica. Troverà in me una resistenza dell’anima che sfuggirà alla sua stretta”. E’ proprio verso la logica della nonviolenza attiva che oggi siamo tutti chiamati a convertirci. Il futuro del mondo non può passare che da questo svincolo obbligatorio. Intanto continuiamo a implorare il Signore. Chi prega mette le mani sul timone della storia. Lo sapevi?

(Lettera in risposta a Angela Maralfa; in Luce e Vita Documentazione 1991,1,28-31 ora in Scritti di pace 242-244)



Costituzione italiana articolo 11
L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.

 

La guerra terrificante da cui l’Italia era appena uscita fece sorgere la ferma volontà di evitare che potessero ripetersi orrori simili: da qui deriva il verbo «ripudia», in cui si condensano lo sdegno e il rifiuto per un’aggressione contro altri popoli. D’altra parte, riconoscere a tutti «pari dignità» non può che comportare il rifiuto della violenza contro altri esseri umani.
Per realizzare un mondo di pace, la Costituzione esorta a stringere accordi e costituire organizzazioni con altri Paesi (per esempio, l’ONU e l’Unione europea: si vedano il Preambolo della Carta istitutiva dell’ONU e l’art. 3 del Trattato sull’UE), anche se ciò significa accettare che certe decisioni non siano più prese dall’Italia in totale autonomia, ma debbano essere concordate con altri Stati (si veda l’art. 4 del Trattato sul funzionamento dell’UE).


 

Beati gli operatori di pace perché saranno chiamati figli di Dio

Se uno mi chiedesse a bruciapelo: “dammi una definizione di quel che dovrebbero essere i politici”, io risponderei subito: “operatori di pace”.

Che cosa è la pace? E’ un cumulo di beni. E’ la somma dele ricchezze più grandi di cui un popolo o un individuo possono godere.

Pace è giustizia, libertà, dialogo, crescita, uguaglianza.

Pace è riconoscimento reciproco della dignità umana, rispetto, accettazione dell’alterità come dono.

Pace è rifiuto di quelle posizioni filosofiche del catastrofismo degli ultimi anni secondo cui “l’uomo non è più di moda” e va disormeggiato con tutta la sua storia.

Pace è temperie di solidarietà: solidarietà, che non è più uno dei tanti imperativi morali, ma è l’unico imperativo morale, che noi credenti chiamiamo anche comunione.

Pace è il frutto di quella che oggi viene indicata come “etica del volto”: un volto da riscoprire, da contemplare, da provocare con la parola, da accarezzare.

Pace è vivere radicalmente il “faccia a faccia” con l’altro. Non il teschio a teschio. Vivere il “faccia a faccia”, non con gli occhi iniettati di sangue, ma con l’atteggiamento del disinteresse. Anzi, del “dis-inter-esse”, scritto di proposito in tre pezzi, come osserva Italo Mancini, per dire che nel movimento di fondo del faccia a faccia, indicato dal pezzo intermedio (“inter”), quello che io debbo fare è depotenziare  (“dis”) la pretesa del mio essere (“esse”) a porsi come sovrano.

Pace, perciò, è “deporre l’io dalla sua sovranità, far posto all’altro e al suo indistruttibile volto, restaurare relazioni di parola, comunicazione, insegnamento; quello che categorie mistiche , che possono essere lette in senso etico, esprimevano con la parola abbandono e svuotamento. Prima ancora che fatto politico, la deposizione è un fatto di giustizia e di alta moralità” (Italo Mancini, L’uomo è ancora di moda? In La vicenda dell’uomo tra coscienza e computer, Assisi 1985, 50).

Pace, per usare un’immagine, è un’acqua che viene da lontano: l’unica in grado di dissetare la terra; l’unica capace di placare l’incoercibile bisogno di felicità sepolto nel nostro inquieto cuore di uomini. Quest’acqua che, in larga parte discende dal cielo e in minima parte deriva dalle risorse idriche della terra(ma anche queste, in ultima analisi, non provengono dall’alto?), si trova in un acquedotto. Si tratta ora di portarla a tutti.

(Tonino Bello, Conversazione con gli operatori politici Natale 1985, Scritti di pace, 15-17) 

 

Ecco perché è un “bluff” limitarsi a chiedere la pace in chiesa, e poi non muovere un dito per denunciare la corsa alle armi, il loro commercio clandestino, e la follia degli scudi spaziali. Per impedire la crescente militarizzazione del territorio. Per smascherare la logica della guerra sottesa a tante scelte pubbliche e private. Per indicare nelle leggi dominanti di mercato i focolai della violenza. Per accelerare l’accoglimento di criteri che favoriscano un nuovo ordine economico internazionale. Per tracciare i percorsi concreti di una educazione concreta alla pace. Per esporsi, magari anche con i segni paradossali ma eloquenti dell’obiezione di coscienza, in tutte le sue forme, sui crinali della contraddizione.

(...)

Coraggio, allora! Nonostante questa esperienza frammentata di pace, scommettere su di essa significa scommettere sull’uomo. Anzi sull’Uomo nuovo, su Cristo Gesù: egli è la nostra pace. E lui non delude.

Del resto anche lui, finché staremo sulla terra, sarà sempre per noi un Ospite velato, faremo di lui un’esperienza incompleta, e i suoi passaggi li scorgeremo solo attraverso segni da interpretare e orme da decifrare. Faccia a faccia, così come egli è, lo vedremo solo nei chiarori del Regno di Dio. Allora, come per una arcana dissolvenza. Le liee con cui abbiamo tenacemente disegnato la pace quaggiù si ricomporranno nella luce dei suoi occhi e assumeranno finalmente i tratti del suo volto. E la realtà, stavolta, sopravvanzerà il sogno.

Ma qui siamo già alle soglie del mistero!

(Tonino Bello, 1 gennaio 1989, in Scritti di pace, Mezzina, Molfetta 1997, 149-153)

 

D. Cos'è per te la pace?

R. Don Tonino Bello, grande vescovo di Molfetta, ha scritto che la pace «non è semplice distruzione delle armi. Pace è mangiare il proprio pane a tavola insieme con i fratelli, è convivialità delle differenze». Sono parole di grande forza: convivialità deriva da cum vivere, cioè vivere con, vivere insieme. Convivialità è aprirsi pienamente alla relazione con gli altri, non accontentarsi di vivergli accanto. Così si costruisce la "pace": imparando a non selezionare i compagni di viaggio, accogliendo anche chi ha percorsi e riferimenti molto lontani dai nostri. Ossia le persone migranti, deboli, emarginate, quelle materialmente povere come quelle che sono povere "dentro", segnate da fragilità esistenziali, incapaci di trovare un senso alla propria vita. Costruire la pace significa costruire prossimità. La politica ha il compito di creare le condizioni perché ciò diventi possibile, dando corpo, realtà, concretezza, a ciò che sta scritto in tante carte. Documenti come la Costituzione italiana o la Dichiarazione universale dei diritti umani, che sanciscono che la dignità di ogni uomo è il fondamento imprescindibile della libertà, della giustizia e della pace del mondo. Il Papa ha usato recentemente parole che mi sento di condividere: «Il mondo - ha detto - ha bisogno di uomini e donne pacifici e pacificatori». Nessuno può accontentarsi di "starsene in pace" su questo tema: la pace chiede a tutti un contributo attivo.

(Da un’ intervista a don Ciotti)